Home » Dieta chetogenica: che cos’è e a cosa serve la chetosi?

La chetosi è un processo fisiologico molto importante, grazie al quale l’uomo è riuscito a salvarsi nelle condizioni più estreme di carenza alimentare e glucidica. Durante il processo della chetosi l’organismo scompone i tessuti per ricavare energia sotto forma di “corpi chetonici” (o chetoni), molecole utili a sostenere le attività vitali. Molti organi del nostro organismo sono, infatti, in grado di funzionare con i corpi chetonici, però per periodi di tempo piuttosto brevi. Questo perché la via metabolica della chetosi è pur sempre una via “di emergenza” e non può essere messa in atto a lungo. Non solo la chetosi ha un costo energetico notevole a livello biochimico, ma sul lungo termine conduce a effetti collaterali molto negativi che vedremo in seguito.

Che cos’è una dieta chetogenica?

Sulla base fisiologica del processo della chetosi sono nate le prime diete chetogeniche, messe in atto, sotto attenta sorveglianza medica, per trattare i malati di schizofrenia. Sui pazienti schizofrenici trattati con dieta chetogenica si evidenziava un notevole miglioramento del comportamento e una migliore capacità di gestire il comportamento del paziente. Questo accadeva proprio perché i corpi chetonici hanno un effetto positivo sul cervello e lo si può ben notare nei primi giorni di una dieta chetogenica in cui si osserva la cosiddetta “euforia da corpi chetonici” che provoca benessere, positività e mancanza di appetito. Proprio questo meccanismo ancestrale ci ha consentito di sopravvivere nei periodi più duri.

Peccato che questo effetto duri veramente poco e si esaurisca facilmente!

Il nostro cervello, il sistema nervoso centrale in generale, le gonadi, il tessuto emopoietico e altri organi sono in grado di funzionare in via preferenziale soprattutto con il glucosio, pertanto in condizioni di carenza di glucosio (come avviene durante una dieta chetogenica) questi si “adattano” a funzionare con i corpi chetonici, ma inevitabilmente rallentano molto la loro funzionalità. Di conseguenza si osserva inevitabilmente un rallentamento del ritmo metabolico che è condizione necessaria e inevitabile durante una chetosi, altrimenti non riusciremmo a sopravvivere.

Ecco che viene evidenziato già un primo effetto negativo della chetosi: il rallentamento del metabolismo, un effetto direttamente correlato al rallentamento dell’attività tiroidea. Durante la chetosi, infatti, si osserva una riduzione dei livelli ematici di T3, l’ormone tiroideo maggiormente responsabile del metabolismo. Si è osservato che durante la chetosi non solo si riducono i livelli ematici di T3 ma aumenta al contempo il tasso di conversione del T3 in rT3, l’ormone fratello del T3 ma con effetti metabolici totalmente opposti (rallentamento drastico del metabolismo).

Questi effetti, così come vedremo per tutti gli altri effetti negativi, sono tanto più marcati quanto più si allunga la durata del periodo trascorso in chetosi.

Come funziona una dieta chetogenica?

Una dieta chetogenica per definizione deve essere in grado di porre l’organismo in una reale condizione di chetosi, pertanto la quota di carboidrati non deve superare il 10% del totale calorico giornaliero. Tutte le diete che contengono quantità di carboidrati superiori al 10% non sono diete chetogeniche ma semplicemente diete Low Carb che non sono in grado di “innescare” la chetosi. Quando si esegue una dieta chetogenica è importante verificare che si è effettivamente in uno stato di chetosi mediante misurazione quotidiana della presenza di corpi chetonici nelle urine; bastano, infatti, pochi grammi di carboidrati per bloccare lo stato di chetosi.

La quota proteica di una dieta chetogenica non deve essere superiore al 15-30%, quindi non necessariamente una dieta chetogenica deve essere ricchissima di proteine, tutt’altro. I lipidi sono i macronutrienti più consumati in un regime chetogenico. Dato che la lipolisi viaggia a ritmi elevati durante un regime chetogenico è opportuno consumare elevate quantità di lipidi per fare in modo che questi diventino il substrato preferenziale (intorno al 50-60% del totale calorico giornaliero).

A primo impatto questa sembra una cosa molto positiva ma occorre prestare attenzione al tipo di attività svolta.

In condizioni di riposo l’organismo consuma principalmente grassi e in questo modo la chetosi fa si che vengano consumate grandi quantità di lipidi, ma quando l’intensità dell’attività si alza, i corpi chetonici derivanti da lipidi non sono in grado di sostenere la domanda metabolica. Il corpo ha bisogno di glucosio (che ovviamente non è presente nella dieta) e inevitabilmente lo deve ricavare dalla neo-glucogenesi, un processo che scompone le proteine dei tessuti muscolari per ricavare glucosio.

Si evince, quindi, che le diete chetogeniche non siano adatte a tutte quelle persone che svolgono attività fisiche intense o che svolgono un lavoro quotidiano fisicamente molto attivo. Queste persone, sottoposte a regime chetogenico, molto probabilmente andranno a consumare grandi quantità di massa muscolare a scopo energetico. Di conseguenza, non possiamo pensare di proporre una dieta chetogenica a un atleta impegnato in sforzi di potenza, intensi, glicolitici, per i quali la maggior risorsa energetica è il glucosio. In condizioni di chetosi questi atleti non riusciranno mai ad esprimere un alto livello di performance e massa muscolare.

Abbiamo visto inizialmente che la dieta chetogenica nelle prime fasi provoca “euforia da corpi chetonici”, ma purtroppo questo effetto è transitorio e molto limitato. Man mano che si protrae il regime chetogenico si osserva proprio il contrario, cioè un peggioramento del tono dell’umore. È ampiamente documentato come una dieta chetogenica conduce sul lungo termine a un peggioramento dell’umore, nervosismo, apatia e mancanza di motivazione ad affrontare la quotidianità.

Quanti carboidrati in una dieta chetogenica?

Questo e sicuramente l’argomento più discusso riguardo la chetosi e cercheremo di fare chiarezza. Come abbiamo visto, una dieta chetogenica prevede una quota di carboidrati. Sul breve termine la condizione di chetosi porta inevitabilmente a un abbassamento dei livelli glicemici e insulinici basali, nonché a una migliore sensibilità insulinica. Questo effetto si osserva solo sul breve termine e col passare del tempo è sempre meno marcato.

I regimi chetogenici protratti a lungo peggiorano la sensibilità all’insulina e peggiorano la capacità di tollerare i carboidrati nel momento in cui si riprende ad assumerli. Inoltre, la mancanza di carboidrati per troppo tempo rallenta drasticamente il metabolismo, soprattutto per via del rallentamento dell’attività tiroidea di cui abbiamo parlato precedentemente. La mancanza di carboidrati riduce anche i livelli di leptina e adiponectina, due potenti ormoni che aiutano a perdere grasso e mantenere il peso corporeo. La mancanza di carboidrati, infine, porta inevitabilmente a una iperalimentazione nel momento in cui questi verranno consumati, sia perché il nostro cervello non è più abituato a regolarsi quantitativamente, sia perché si instaura una sorta di meccanismo compensatorio alla mancanza protratta di carboidrati; è come se il nostro cervello volesse “recuperare” tutti i carboidrati persi.

La dieta chetogenica fa dimagrire?

La maggior parte delle persone approccia la dieta chetogenica nella speranza di un dimagrimento rapido e duraturo ma una volta terminata la dieta la situazione torna peggio di quella iniziale e questo avviene per molti motivi. Talvolta i risultati ottenuti con una dieta chetogenica sono deludenti o inferiori alla aspettative perché spesso ci si dimentica che comunque per dimagrire occorre consumare meno calorie di quante se ne assumono, indipendentemente da quello che si mangia. Non basta ridurre i carboidrati, occorre comunque impostare un regime ipocalorico!

Molte diete chetogeniche falliscono perché non vengono impostate nel modo giusto, senza badare alla misurazione dei corpi chetonici nelle urine e quindi finiscono per essere semplici diete low carb che non innescano il processo di chetosi. La maggior parte delle diete chetogeniche fallisce per una mancanza di sostenibilità (peggioramento dell’umore, scarsa energia, desiderio eccessivo di caboidrati) e per via della incompatibilità con la vita quotidiana nel contesto sociale (colazioni, pranzi di lavoro, cene con amici, aperitivi ecc). Una buona parte di diete chetogeniche fallisce perché il paziente non riesce a educarsi dal punto di vista alimentare e non è in grado di gestire i pasti e le porzioni di cibo consumate.

Questo avviene perché durante una chetogenica vengono consumate grandi quantità di grassi e proteine che provocano un maggiore senso di sazietà grazie alla stimolazione della produzione di ormone CCK (colecistochinina) ma nel momento in cui si abbandona il regime chetogenico ci si trova “spiazzati” e non educati dal punto di vista alimentare.

Lo stesso si può dire per i meccanismi di fame-sazietà che sono finemente controllati a livello ipotalamico: in un regime chetogenico lo stomaco è sempre ben pieno e il suo grado di distensione (associato alla produzione di CCK) provoca un forte senso di sazietà. Ma quando si abbandona il regime chetogenico, si fa molta più fatica a raggiungere lo stesso livello di sazietà, pertanto si tende a mangiare di più.

Potremmo andare avanti a elencare un gran numero di effetti metabolici, neuro-endocrini, immunologici e psicologici negativi associati a regimi chetogenici prolungati ma diventerebbe davvero un discorso troppo lungo e articolato.

Per concludere, i regimi chetogenici hanno effetti positivi se applicati per brevissimi periodi di tempo, su determinate categorie di pazienti (grandi obesi, diabetici ecc.) e sotto stretto controllo medico.

Sul lungo termine, invece, la lista di effetti collaterali associati alle diete chetogeniche è molto lunga e dovrebbe spingere le persone a riflettere e fare le giuste considerazioni prima di impostare un qualsiasi regime “pseudo-chetogenico” che potrebbe compromettere la propria salute.

 

 

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Dott. Antonio Milocco

Biologo nutrizionista, il Dott. Antonio Milocco è focalizzato sulla ricerca nelle scienze dell’alimentazione grazie ad una collaborazione con l’Università di Sassari.